lunedì 31 ottobre 2011

Sherlock Holmes: guardare e memorizzare

Era il 31 ottobre del 1892 quando Sir Arthur Conan Doyle pubblicò sullo Stand Magazine i dodici racconti de Le avventure di Sherlock Holmes. Chi non conosce il detective di Baker Street, reso ancora più celebre dal film uscito nel 2009 e  interpretato da Robert Downey Jr e Jude Law

Il 16 dicembre 2011 è prevista in Italia l'uscita di Sherlock Holmes 2, sempre diretto da Guy Ritchie, che racconterà l'avventura di Holmes esattamente un anno gli eventi del primo episodio. Attendiamo allora questa prossima pellicola che dovrebbe mantenere le stesse caratteristiche della precedente: azione, umorismo e indagine.

Ciò che mi ha sempre affascinato di questo personaggio emerso dall'abile penna di Conan Doyle è il suo straordinario talento mnemonico, la sua enorme abilità di ricordare perfettamente, fin nel più piccolo dettaglio, ogni immagine che aveva visto. Non a caso il suo arcinoto compagno di viaggio, dottor John Watson, dice di lui che "Distingue a colpo d'occhio un tipo di terreno da un altro. Rientrando da qualche passeggiata mi ha mostrato delle macchie di fango sui pantaloni e, in base al colore e alla consistenza, mi ha detto in quale parte di Londra se l'era fatte". Incredibile!

Mi sono sempre chiesto come poteva avere questa meravigliosa capacità e fin da piccolo ho sempre visto questa sua dote come un superpotere, facendo diventare, nella mia mente, Holmes un eroe al pari di Superman o Spiderman. Crescendo poi mi sono accorto che altre persone avevano questa stessa capacità e mentre nessuno poteva volare come Superman o saltare tra i palazzi grazie alla propria tela di ragno come Spiderman, il "superpotere" di Sherlock Holmes poteva svilupparlo qualsiasi uomo.

Nella storia si ricordano pittori che riuscivano a riprodurre oggetti o persone con un solo colpo d'occhio. Sartain rifece a memoria un Murillo, dopo l'incendio dell'Accademia delle Belle Arti di Philadelphia, un ufficiale della polizia di New York con un solo sguardo attraverso una porta socchiusa intravide il travestimento di un ricercato...

Un occhio ben allenato riesce ad ottenere impressioni così nette da risultare difficilmente dimenticabili. Ci sono una serie di esercizi che possono aiutarti a sviluppare questa abilità visiva e arrivare a capire come diceva Sherlock Holmes "Da molto tempo il mio assioma è che le piccole cose sono di gran lunga le più importanti."

A) Certamente un primo esercizio è quello di disegnare ciò che vediamo. So che starai pensando, ma io non sono capace di disegnare, in arte prendevo sempre insufficiente. Nessun problema, non ti ho detto che devi riprodurre un Murillo o un Rubens. Devi semplicemente disegnare come meglio riesci ciò che vedi.
Prendi per esempio un oggetto vistoso della tua camera e inizia a disegnarlo, impiega un bel po' di tempo in questo. Osservalo attentamente e cerca di riprodurre tutti i particolari, anche i più piccoli. 
Ti accorgerai in breve di due cose:
1) Una matita è il migliore degli occhi
2) Più aumentano i particolare che troviamo, più aumenta l'interesse per quella determinata cosa.

B) Prova a fare lo stesso esercizio mentalmente. Prima dai un colpo d'occhio, guardi l'oggetto per pochi istanti. Chiudi gli occhi e cerchi di ricordare il maggior numero di caratteristiche. Poi riapri gli occhi e guardando nuovamente per un breve periodo di tempo, cerchi di cogliere altri e nuovi dettagli.

C) Metti insieme i due esercizi: di un oggetto che ormai conosci mentalmente alla perfezione (uno di quelli dell'esercizio B) prova a farne un disegno senza guardarlo. Poi prendi l'oggetto e confronta, cercando di aggiungere ancora qualche particolare.

D) Gioca con i tuoi amici. 
1) Metti 10 oggetti su un tavolo e coprili con un telo. Poi togli il telo per 10 secondi e falli vedere ai tuoi amici. Una volta ricoperti chiedi ad ognuno di scrivere il maggior numero di caratteristiche dei vari oggetti. Anzi, ancora prima chiedi quali oggetti sono... chi non ha un occhio allenato, farà fatica anche a ricordare di che cosa si trattano i 10 oggetti.
2) Apri la pagina di una rivista a caso e lasciala davanti ai tuoi occhi e a quelli dei tuoi amici per qualche istante. Poi chiudi la rivista e sfida i tuoi amici a chi ricorda più particolari. Se due si ricordano, per esempio, che ci sono delle penne, chiedi di che colore, quante sono... Vedi quanti dettagli puoi trovare?
3) Fai indovinare il domino e le carte da gioco. Mostrando rapidamente una carta da gioco puoi chiedere di il colore e il numero. Ok, facile dirai. Prova ad aumentare il numero di carte che fai guardare, mantenendo costante il tempo di osservazione. Lo stesso lo puoi fare con le pedine del domino, chiedendo poi la somma esatta dei punti.
4) Puoi divertirti con lo stesso metodo anche bloccando l'immagine di un film o preparando delle domande sui dettagli dei vari abiti, orologi, orecchini... che gli attori indossano dopo aver visto insieme ai tuoi amici una  bella pellicola.

E) Inventa qualche altro esercizio con la tua creatività! ;-)

venerdì 28 ottobre 2011

Come essere sempre motivati

Mentre sto scrivendo questo post e digitando sulla tastiera le varie lettere per comporre le parole che stai leggendo, i movimenti delle mie dita sono attivati dai neuroni del lobo frontale e non sono semplici riflessi inconsci, ma vere e proprie azioni che sto decidendo di compiere. In caso contrario non riusciresti a trovare un senso in quello che sto scrivendo e che stai leggendo.

Questo tipo di movimento volontario, si dice sia indotto o motivato. La motivazione può essere molto concreta, pensa per esempio alla fame, quando sono affamato, la mia motivazione deriverà da uno stimolo concreto, dalla necessità e richiesta del mio organismo; mentre, quando sto studiando potrei trovare la motivazione in un ideale, come per esempio il bel voto che visualizzo e immagino nel mio libretto, oppure dalla curiosità di sapere e conoscere nuove informazioni. In quest'ultimo caso, come in altri, la motivazione è più astratta, rispetto alla prima.

La motivazione segue la tua realizzazione personale e la tua soddisfazione. Se infatti trovi le motivazioni soddisfacenti, certamente deciderai di dedicarti a quella determinata attività e la inizierai a fare con entusiasmo, voglia e probabilmente con un ritmo di esecuzione sostenuto. Se è vero questo, esiste un legame fortissimo tra motivazione e valori. Proprio la nostra scala di valori, la gerarchia di valori che abbiamo influenzerà sempre la nostra motivazione e quindi le nostre azioni. Si arriva così ad affermare che tutto ciò che fai dipende in profondità dai tuoi valori.

Più avrai sviluppato e conosciuto i valori maggiormente importanti e positivi, più le tue azioni, anche quelle più piccole e molto spesso ritenute insignificanti, assumeranno un aspetto positivo e importante: avranno cioè un valore.

I consigli per essere sempre motivato sono sicuramente:

- Conoscere i valori più importanti e farlo propri. Come? Per prima cosa potresti diventare un follower di questo blog e leggere con costanza i vari post sui valori. Poi, potresti cercare di vedere quali sono i valori più positivi, quelli che proprio nessuno potrebbe fare a meno. Il suggerimento è di scrivere più valori possibili in un foglio e poi cerca di eliminare (una volta che ne hai trovati almeno 30) quelli che non sono strettamente essenziali per un uomo. Con quali valori sei rimasto?

- È sempre meglio scegliere tra poche cose. Alcuni studi infatti hanno dimostrato che gli studenti del liceo sono più motivati a scrivere un tema se hanno solo 5 o 6 tracce, invece di 30. Come mai? Certamente 30 argomenti, come 30 cose diverse da fare, creano confusione, non possono darti la possibilità di trovare le giuste motivazioni per ognuna di essere. Inoltre, sempre penserai alle altre cose mentre starai svolgendo quello che hai scelto di fare in questo preciso momento. Insomma, ci vuole ordine, concretezza e sintesi. È nella sintesi che si trova la chiarezza. Quando non riesci a fare una cosa o nemmeno ad iniziarla è perché ha troppe cose per la testa e non riesci a trovare le giuste motivazioni per entrare in azione.

Infine, mi piacerebbe sottolineare il fatto che esiste legame etimologico tra motivazione ed emozione (entrambe richiamano l'azione... ci spingono verso qualcosa). Ti puoi accorgere nell'esperienza di tutti i giorni che la tua motivazione e quindi il tuo muoversi verso (la tua azione) sarà tanto più decisa e costante in base al legame emotivo che avrai sviluppato verso ciò che devi o vuoi fare. Anche l'azione più faticosa diventa fattibile se hai le motivazioni giuste che fanno muovere la tua volontà e in più sei spinto anche dalla tua parte emotiva e affettiva.

È allora indispensabile conoscere ciò che vogliamo raggiungere, perché solo conoscendo a fondo qualcosa possiamo sentire un certo affetto per essa. Ciò che non conosciamo infatti, non potrà mai produrre in me un sentimento. Quando invece conosciamo un valore, ne conosciamo le caratteristiche, abbiamo associato ad esso una persona che stimiamo, riusciamo a capire che qualità può apportare nel miglioramento della nostra vita e nella nostra realizzazione, non potremo far altro che amarlo! 

La più grande motivazione che può spingere un uomo è infatti l'amore!!!

mercoledì 26 ottobre 2011

Il valore del lavoro

In questi ultimi giorni si sta parlando molto di lavoro, precariato, lavoro in nero, disoccupazione... Il 20 ottobre è stato presentato in occasione del Meeting del Forum Nazionale Giovani, l'indagine "Giovani e Lavoro consapevole". L'inchiesta è riuscita a raccoglie 1402 questionari validi di giovani tra i 20 e i 29 anni. Il dato che ha fatto più scalpore è stato quello in riferimento al lavoro in nero (1 giovane su 3 tra gli intervistati lavoratori viene pagato in nero).

Altri dati interessanti sono: il fatto che il 75,5% degli studenti che non lavorano sono al passo con il proprio piano di studi, mentre meno del 50% degli studenti lavoratori riescono ad essere in linea con gli esami. Inoltre, solo meno della metà dei intervistati (il 43,5%) conosce le norme a tutela dei diritti dei lavoratori. Tu come sei messo su questo ultimo punto?

Certamente, di fronte a queste situazioni, dobbiamo ritenere il lavoro un qualcosa di importante per la vita di un giovane e non solo. Molte volte i giovani studenti, non si preoccupano del loro lavoro futuro, non guardano a quello e per questo a volte sbagliano anche la scelta della facoltà all'università. Per fortuna, per ovviare a questa inconsapevolezza ci sono progetti come il Career Day 2011 che si sta svolgendo proprio oggi all'Università di Siena e che cerca di far entrare il mondo del lavoro, o almeno le informazioni sul mondo professionale, nella vita degli studenti e dei giovani interessati.

Il lavoro è indispensabile per l'uomo e se ne rendono subito conto quelli che purtroppo il lavoro non ce l'hanno. "Chi non lavora, non mangia" dice un vecchio proverbio e credo sia vero che per vivere è importante lavorare. Certo si può vivere anche senza lavoro, ma se pensi alla vita media di un uomo, dai 20-25 anni ai 60-65 anni, circa 6-8 ore della sua giornata le trascorrerà lavorando. Non credo che serva fare due conti per accorgersi di come il lavoro fa o farà parte essenziale della nostra vita, della vita di tutti.

È evidente quanto sia importante scegliere un lavoro che possa piacere, al quale vorresti dedicare il maggior numero di ore della tua vita, perché sarà proprio così, a parte probabilmente il dormire, il maggior tempo della tua vita sarà dedicata al lavoro. Il lavoro diventa così un valore che ha bisogno della consapevolezza personale dei propri valori per potersi realizzare al meglio. Solo chi conosce bene i proprio valori, le proprie credenze, può decidere anche ad occhi chiusi a che lavoro dedicarsi, certo di non doversi pentire in futuro.

Già, il futuro... altro magnifico tema legato al lavoro, ma visto che ne ho parlato proprio ieri di futuro, toccherò qui altri argomenti ;-)

Sarebbe bello poter non lavorare? Se è vero che l'etimologia della parola lavoro rimanda alla fatica, è lampante che in pochi desidererebbero ardentemente faticare. Se provassi per un momento a considerare il lavoro in una nuova prospettiva, ossia come un vero valore, come qualcosa che può arricchirti, che può migliorarti, che fa si che tu possa diventare una persona più armoniosa, probabilmente anche questa "fatica" avrebbe un senso. 

Il lavoro, come vero valore positivo, non può essere ritenuto qualcosa di importante solo ai fini della propria sussistenza, ma deve essere un aspetto importante per la propria esistenza. Parole simili che nascondono una grande differenza. La propria realizzazione personale, la propria esistenza, la propria felicità, passa anche per il lavoro. Per questo dobbiamo dargli il giusto peso e il giusto posto e tempo. 

Non possiamo comportarci al lavoro in maniera spietata, svogliata, arrogante, mediocre... tanto è solo lavoro, tanto è solo quel qualcosa che mi fa portare a casa i soldi. Non dobbiamo nemmeno ridurre la nostra vita al lavoro e non avere tempo per nient'altro. Non possiamo nemmeno lamentarci perché non abbiamo lavoro e rifiutare o lamentarci per quelli che ci vengono offerti...

Bisogna cercare di approfondire il tema del lavoro in maniera reale, non semplicemente lamentandosi. Bisognerebbero far vedere ai giovani le molteplici possibilità di lavoro, come potersene inventare uno, magari tramite internet; sarebbe fantastico riuscire a presentare alcuni lavori considerati "vecchi" in una chiave moderna... penso a lavori considerati da molti giovani di serie B, ma che servono e serviranno sempre nella nostra vita (per esempio tutto il mondo dell'artigianato, del lavoro agricolo...). Una grande sfida per i giovani potrebbe essere proprio questa: essere capaci di immaginare questi "vecchi" lavori in una chiave moderna. Sono certo che ci sarebbero ancora tanti giovani che si potrebbero appassionare a questo!

Non esistono lavori di serie A o lavori di serie B, non possiamo catalogarli in base alle conoscenze che si devono avere per svolgerli, nemmeno in base ai soldi che se ne ricavano, ma un'unico parametro può far ritenere buono o cattivo un lavoro: la realizzazione. È solamente vedendo il valore del lavoro secondo la propria ottica di realizzazione personale, inquadrato in un puzzle più complesso che è la vita stessa che si può dare un reale senso e valore al lavoro.

martedì 25 ottobre 2011

FlashForward e il futuro: speranza o attesa?

"Il 6 ottobre, il pianeta è andato in black-out per 2 minuti e 17 secondi. Tutto il mondo ha visto il futuro." Queste frasi sono l'introduzione agli episodi di un'ottima serie televisiva, purtroppo terminata dopo la prima stagione di 22 episodi: FlashForward. È una serie televisiva che prende spunto dal libro fantascientifico Avanti nel tempo (FlashForward) dello scrittore Robert J. Sawyer.

Il blackout misterioso fa sì che quasi tutte le persone del mondo perdano i sensi e vedano alcuni istanti della propria vita nel futuro. Ovviamente il libro e il telefilm sono diversi, ma l'idea è la stessa. Cosa cambierebbe se vedessi il tuo futuro? Cosa dovresti fare?

In un episodio un personaggio si domanda: "Quando c'è stato il backout e l'intero mondo ha visto il futuro, ci siamo tutti chiesti se le visioni si fossero avverate...". È certo che sapere che cosa ci aspetta, esserne certi cambierebbe radicalmente la nostra vita. La serie televisiva è interpretata dall'attore, che forse ricorderai per "Shakespeare in Love", Joseph Fiennes (fratello minore di Ralph) e dà tantissimi spunti per chi vuole scervellarsi, non solo per capire i misteri della trama, ma anche per quelli che sono interessati ai temi del libero arbitrio, della speranza, del destino, dell'attesa.

Vorrei soffermarmi proprio sul carattere temporale di ognuno di noi. Sulla temporalità che deriva dal nostro corpo, dal nostro stato fisico e non solo. Il nostro corpo infatti non occupa solamente uno spazio. Il mio corpo infatti mi pone sempre qui e mai là, inoltre mi fa stare in un adesso.

L'adesso è la prima realtà che ci troviamo di fronte quando pensiamo al tempo legato al noi stessi. Però, noi uomini, non abbiamo solo l'adesso, abbiamo anche un prima e un dopo. Viviamo cioè un presente (l'adesso) che ci fa risentire il passato e immaginare il futuro. Solo l'uomo può considerare se stesso nella sua totalità che comprende la sua storia passata e la speranza del futuro.

Siamo costitutivamente protesi verso il futuro. Ecco perché la tematica di FlashForward è così interessante e coinvolgente, proprio perché il futuro è la forza gravitazionale del tempo. Vivere nel presente significa avere un futuro, un futuro pieno di possibilità, ricco di progetti che magari partono da un passato e che si realizzeranno in un presente.

Il mio futuro, il tuo futuro, il futuro di tutti ha però una caratteristica essenziale. È un avvenire incerto. Ho parlato di caratteristica essenziale, perché credo che se si cambiasse questa incertezza propria del futuro, verrebbe meno qualcosa che fa parte di noi: la speranza.

La speranza quindi fa parte di ognuno di noi. È parte della nostra costituzione, non possiamo vivere senza. Per questo il grande Cicerone diceva, una frase entrata nel linguaggio comune: "Finché c'è vita, c'è speranza" e Giacomo Leopardi affermava qualcosa di magnifico: "Io vivo, dunque io spero, è un sillogismo giustissimo".

Ritornando alle domande iniziali, ossia cosa cambierebbe se conoscessimo anticipatamente cosa ci riserva il futuro, probabilmente non si potrebbe più vivere nella speranza. Se il futuro perde la sua incertezza, viene meno anche il guardare dell'uomo verso esso con speranza.

Ecco che viene d'obbligo sottolineare la differenza tra speranza e attesa. Non si possono confondere i due termini, anche se entrambi si riferiscono ad un tempo futuro. Se vedessimo con chiarezza in nostro futuro come in FlashForward, credo rimarrebbe valida la frase di Faletti: "Il buio e l'attesa hanno lo stesso colore".

L'attesa, infatti, è aspettare, lasciare passare le ore e i giorni affinché si realizzi un futuro già previsto, senza alcuna novità. Aspetto qualcosa che so che sta per arrivare. Attendere è una sorta di passività, non ci spinge all'azione, non presenta quella forza gravitazionale che è il futuro per il tempo e per la nostra vita.

La speranza, invece, crea sempre nuove possibilità, ci mette davanti a molteplici soluzioni, idee, fantasie che si potrebbero realizzare. E la più bella di queste possibilità è l'amore. Per questo si dice che amare è sperare.

La bellezza della nostra vita, della vita dell'uomo è proprio il fatto che non possiamo staccarci dalla speranza, fa parte di noi. È un elemento questo che viene fuori anche nel telefilm FlashForward: anche se i vari personaggi hanno visto il proprio futuro, non sanno vivere realmente nell'attesa, non sanno solo "aspettare", ma sono spinti a "fare"... sono comunque spinti da quella speranza che ci caratterizza tutti, quasi come se non potessero accettare che qualcuno possa toglierci questo dono meraviglioso: la speranza!!!

Mi viene da concludere con un'immagine, una metafora, riprendendo un ragionamento di  Kierkegaard. L'attesa è scoccare la freccia guardando il bersaglio, la speranza invece è scoccare la freccia andando con la mente oltre il bersaglio. Solo la seconda freccia avrà la possibilità di raggiungere il bersaglio e fare centro. La speranza è quel quid che ci dà la possibilità di raggiungere le nostre mete.

Solo il tempo potrà dar ragione a questo ragionamento. E il tempo è ora!

lunedì 24 ottobre 2011

L'atteggiamento può cambiare tutto

Un giorno due operai vennero avvicinati da un giornalista. Il giornalista chiese al primo dei due: "Che lavoro fai?" e l'uomo gli rispose lagnandosi di essere praticamente uno schiavo, un muratore sottopagato che sprecava il suo tempo passando le giornate a mettere un mattone sopra l'altro.

Il giornalista fece la stessa domanda anche al secondo operaio. Ma la risposta fu molto diversa. "Sono la persona più fortunata del mondo", gli disse. "Il mio lavoro consiste nel prender parte a bellissime opere d'architettura. Aiuto a trasformare dei semplici mattoni in squisiti capolavori."

Mi pare che non ci sia altro da aggiungere. Non voglio infatti scrivere molto di più, ma semplicemente condividere con te questa breve storiella che ho trovato in un libro.
Tu a quale dei due operai assomigli?

Credo che con veramente poco, possiamo capire che ognuno di noi, qualsiasi cosa stia facendo e in qualsiasi condizione sia, possa contribuire a realizzare degli squisiti capolavori!!!

venerdì 21 ottobre 2011

Essere e apparire

Molte volte ci troviamo davanti a frasi come "è meglio l'essere che l'apparire", "l'importante è come sei dentro e non come sei fuori", "non bisogna giudicare dall'aspetto esteriore, ma dall'animo"... Certamente molti di noi sottoscriverebbero in maniera istantanea queste frasi. 

Chi direbbe infatti, è meglio apparire in un certo modo, anche se dentro si è in un'altro? Chi sosterrebbe il fatto che è giusto mettersi delle maschere per nascondere come si è dentro? Credo veramente in pochi.

C'è una sorta di condizionamento generale nel vedere da una parte l'interiorità, la profondità da una parte e l'esteriorità, il superficiale dall'altra. È opinione comune considerarle due cose nettamente divise. Non solo, probabilmente il fatto di parlare da una parte di superficialità e dall'altro di profondità, ci fa anche pensare che la prima sia di minore importanza rispetto alla seconda.

Questo pregiudizio, per cui l'essere e l'apparire sono in netta contrapposizione e uno meglio dell'altro, deriva dalla visione dualista tramandataci fondamentalmente da Cartesio, che purtroppo non ha mai contemplato l'idea che si poteva pensare ad "essere e apparire" e non solamente ad "essere o apparire".

In fin dei conti, mi pare un ragionamento logico il dire "essere e apparire" perché ognuno di noi non può non essere, oppure non sarebbe qui, e nemmeno potrebbe privarsi dell'apparire. Tu riesci a non essere e a non apparire? Forse, se sei un prestigiatore potresti riuscire a non "apparire" per qualche istante, ma sappiamo entrambi che in realtà da qualche parti appariresti, giusto?

Se ci fermassimo a credere che è corretta la frase "meglio essere che apparire", significherebbe dire che i valori possiamo solo viverli in quella nostra interiorità che è il nostro essere, che non potrebbero apparire dai nostri comportamenti. Sarebbe come sostenere che la generosità non potrebbe riflettersi in dei gesti, che la bontà non potrebbe apparire in un sorriso o in uno sguardo, che la sincerità non si possa rispecchiare in un tono di voce, in una stretta di mano, in una lacrima...

Non può essere così, perché ognuno di noi recepisce i valori dell'altro e il fatto stesso che ci sono dei valori positivi e magnifici da vivere perché li vede apparire in qualcuno. Difficilmente riusciamo a vedere l'essere o meglio vediamo "l'essere e l'apparire"!

Oggi, vorrei veramente condividere con te "solo" questo pensiero. Vorrei che le persone provassero a pensare non "essere o apparire", ma "essere e apparire". Molte volte il dire: "è meglio l'essere che l'apparire" è una bella e grossa scusa. Questa piuttosto è una grande maschera, il fatto che con questa frase magari ci crediamo in un certo modo (bello, giusto e corretto) che però non traspare dalle nostre azioni, dai nostri modi, dalle nostre parole. Allora per giustificarci utilizziamo la comoda frase "l'importante è come sei dentro e non come sei fuori".

Non credere di essere, se non hai preso coscienza che a quello stesso essere corrisponde un apparire. Si potrebbero distinguere allora diverse situazioni. Il "credere di essere e non apparire", il "non essere e apparire" che tradotto sarebbe un "apparire per apparire, per comodità, per convenienza..." e, infine, un "saper essere apparendo".

Quest'ultima situazione presuppone che conosciamo a fondo i nostri valori, sappiamo benissimo i nostri pregi e i nostri difetti e ci rendiamo conto che tutto il nostro essere si rifletterà volenti o nolenti sul nostro apparire. Chi prendere consapevolezza di ciò capisce che essere e apparire, intimità e corporeità sono legati e inscindibili in questa vita e che modificando un aspetto, cambiamo anche l'altro. Per questo, per esempio nel judo, prima di ricercano le doti fisiche dell'equilibrio, il senso d'orientamento... e si sa che l'equilibrio mentale arriva poi, ma arriva se uno persegue con costanza certe mosse.

Non aggrappiamoci come fanno molti a facili scuse, cerchiamo di essere giovani con una marcia in più, sforziamoci di comprendere che possiamo "essere e apparire", che dobbiamo curare l'uno e l'altro aspetto se vogliamo un'armonia nella nostra vita.

Non cercare di nasconderti, non potresti non essere e nemmeno non apparire. Cerca semplicemente ogni giorno di essere e apparire al meglio!

giovedì 20 ottobre 2011

Il valore del buonumore

Questa mattina ho letto la notizia che Google e Samsung hanno presentato il nuovo googlefonino Galaxy Nexus, dotato di un nuovo sistema operativo Android 4.0 Ice Cream Sandwich, con processore dual core da 1,2 GHz e in grado di supportare giochi e video in HD. 

Veramente tante sono le qualità di questo nuovo smarthphone, ma una in particolare mi ha colpito e ha dato vita al post che stai per leggere. Si tratta di una delle caratteristiche più strane di Galaxy Nexus, ossia il sistema di "sblocco con il sorriso" (tramite il riconoscimento facciale).

Ho subito pensato: "che geniale trovata!". Non tanto per il sistema di sblocco tramite riconoscimento facciale, ma per il modo di pubblicizzare questo sistema come "sblocco con il sorriso". Insomma un googlefonino che ti aiuta a sorridere durante la giornata è sicuramente una marcia in più per tutti. Sarebbe proprio bello pensare alle persone che come prima cosa alla mattina devono fare un gran bel sorriso per sbloccare il proprio telefonino.

Pensa a quante volte ti capita durante una giornata di sbloccare il cellulare, se tutte le volte dovessi fare un grande sorriso, sarebbe davvero un'enorme conquista per la tua vita. In pochissimo tempo, impareresti a sorridere più spesso, riusciresti a percepire il grande valore del buonumore.

Già in due post ho sottolineato le esaltanti qualità della risata (qui e qui) e in un altro ho scritto di quanto puoi sentirti bene se impari a sorridere per i successi degli altri. Qui vorrei ancora una volta ribadire il grande valore del buonumore e perché ognuno di noi dovrebbe metterlo ai primi posti della propria gerarchia di valori, cercando ogni giorno di farlo crescere.

Ormai sai bene che mi piace andare a vedere l'etimologia delle parole che rappresentano i vari valori e probabilmente il significato di buonumore è davvero fantastico e azzeccato. Buonumore deriva da "bonus", ossia bene, bontà e "humor", cioè linfa che circola nell'organismo. Wow, allora il buonumore è quella sorta di benzina invisibile che circola nel nostro organismo e ci fa essere attivi, energetici, magnetici, contagiosi.

Già, il sorriso e il buonumore sono essi stessi contagiosi. Ti è mai capitato di ridere perché un altro lo faceva, senza saperne il motivo? A me spesso! Non ritenerti sciocco se è successo anche a te, perché il sorriso è una di quelle forme di comunicazione non verbale più contagiosa e poi, come diceva F.F. Chopin "chi non ride mai, non è una persona seria".

Se torniamo per un momento a quell'humor, quella linfa, credo proprio che sia logico pensare che il buonumore non sia soltanto una cornice di come uno fa le cose. Spesso si dice che tra fare un'azione con poca voglia e con il muso e farla con il sorriso, se questa cosa la si deve fare, è cento volte meglio farla con il sorriso. Certo, è vero, ma mi sembra che questo atteggiamento si fermi a considerare il valore del buonumore solo come una cornice appunto, una maschera che possiamo mettere o no nelle varie cose che facciamo.

Il valore del buonumore è già esso stesso un ingrediente dell'azione, non solo una cornice. Avere questo straordinario valore significa saper prendere sempre le situazioni e le persone dal lato buono (ricordi il "bonus" dell'etimologia?). Alla base del buonumore c'è un grande coraggio di vivere e per questo anche un protocollo alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo afferma: che "tutti gli uomini hanno il dovere imprescrittibile di buonumore".

La rivalutazione della risata e del buonumore è davvero necessaria. Questo sfavillante valore è un fortissimo messaggio sociale e non a caso è stato detto che "la risata è la distanza più breve tra due persone". Credo che anche tu possa avere esperienza di questo, di come il buonumore avvicina, fa entrare in sintonia, fa creare quei legami di empatia e simpatia in una maniera così rapida che non si potrebbe spiegare se non per il fatto che il vero buonumore non può essere solo una facciata, ma deve essere un potente valore interiore.

Se oltre a tutto questo aggiungi: 1) che la risata è una vera e propria ginnastica, perché non solo mette in moto circa 15 muscoletti della nostra faccia, ma più di altri 100 muscoli di tutto il corpo; 2) che molti studi scientifici dimostrano che il buonumore e la risata è un vero toccasana per la salute... risultano evidenti le parole di Susumo Tonegawa, Premio Nobel per la Medicina nel 1987 per il riarrangiamento genico, "Chi è musone, triste e depresso non riesce a tener lontane le malattie".

Ben vengano allora sistemi come questo del Galaxy Nexus che ci aiutano a sorridere e a sforzarci ogni tanto di farlo... come ci insegna questa canzone...

Ti lascio, infatti, con le parole di questa bellissima canzone di Charlie Chaplin, reinterpretata anche da Michael Jackson, due personaggi che certamente sapevano sorridere! 
Il titolo è ovviamente SMILE.

"Sorridi anche se ti piange il cuore,
sorridi, anche se ti si spezza
quando ci sono nuvole nel cielo ce la farai...
se sorriderai 
con le tue paure e il tuo dolore
sorridi e forse domani scoprirai che vale ancora la pena di vivere (...) 
Illumina il tuo volto con la felicità
nascondi ogni traccia di tristezza
anche se le lacrime sono così prossime
è proprio allora che devi tenere duro
sorridi, a che serve piangere?
scoprirai che la vita vale ancora la pena."


"Smile though your heart is aching
Smile, even though it's breaking
when there are clouds in the sky you'll get by...
If you smile
with your fear and sorrow
smile and maybe tomorrow you'll find that life's still worth while (...)
Light up your face with glandness
hide every trace of sadness
althouth a tear may be ever so near
that's the time you must keep on trying
smile, what's the use of crying?
you'll find that life's still worth while"

mercoledì 19 ottobre 2011

Problemi e valori

Ti starai domandando di quali problemi ti voglio parlare oggi e di quali valori potrebbero risolverli. Forse dovrei parlarti dei problemi di questa crisi che stiamo vivendo e che ci viene descritta da tutti i media. Ti piacerebbe probabilmente che ti elencassi i vari valori che stiamo perdendo in questa situazione e come fare a riconquistarli per risolvere i problemi che stanno coinvolgendo la nostra generazione di giovani.

È certamente qualcosa da fare. Dobbiamo sempre prendere atto delle situazioni concrete che viviamo, del contesto storico e dei problemi che ci circondano. Però vorrei soffermarmi, questa volta, sul legame esistente tra valori e problemi in un senso più generale. Sembrano due cose così contrapposte che molto spesso facciamo fatica a vederle insieme e che quindi consideriamo sempre come due realtà separare. Anzi, molte volte quando ci troviamo davanti a dei problemi, ci sembra che non esistano più dei valori positivi.

In realtà esiste uno strettissimo legame tra problemi e valori. Il fatto stesso che nella nostra vita si presentino, in maniera potremmo dire ordinaria e quotidiana, dei problemi, ci dovrebbe far aprire ancor di più gli occhi e farci vedere che i valori positivi esistono. Sappiamo infatti che ciò che mina i nostri valori è sempre un problema e più sentiamo forte e opprimente questo problema, più il valore minacciato sarà importante e fondamentale. 

Da questo legame si deduce anche l'esistenza di falsi problemi (ossia quelli che non hanno soluzioni) che sono fondati su falsi valori.

Un problema è, in fondo, tutto ciò che può avere una soluzione e il più grande problema è proprio il non riuscire ad accorgerci di questo. Ci ritroviamo così troppo spesso impegnati a lamentarci, a criticare una situazione, a piangerci addosso, piuttosto di mettere a frutto il nostro tempo per cercare una soluzione.

Il gruppo in questi casi non diventa un aiuto alla soluzione dei problemi, ma un alibi, un luogo dove ci si uniforma ad una massa inerme. Non si può parlare, in questi casi, nemmeno di soluzione comoda, perché non si cerca la soluzione, non ci si impegna a cercarla e nemmeno ci si sforza di capire che una soluzione è possibile. Ci si lamenta in modo sterile è basta.

Il gruppo dovrebbe essere invece il luogo dove trovare le soluzione, dove risolvere i problemi. Questo non dobbiamo mai dimenticarlo. Non devi mai scordare l'importanza del gruppo. Molte volte per trovare soluzioni e poterle portare a termine c'è bisogno di un lavoro di squadra, della condivisione, della discussione, della collaborazione di molte persone. Le aziende più produttive lo hanno capito, perché non applicarlo anche alla vita di tutti i giorni?

Discuterne con altri è uno dei migliori modi per arrivare prima alla meta, è il modo più bello di rendersi conto che un problema è semplicemente ciò che ha una soluzione!

Ti rubo solamente pochi altri secondi, se avrai la voglia di leggere (come spero), per un suggerimento. Solitamente quando si guardano i problemi, si ricerca una causa. Quello che invece ti consiglio di fare è non fermarti ad un solo "perché?", ma chiediti almeno "5 perché?"
Per ogni problema che ti trovi ad affrontare o che vedi nella società, cerca di non fermarti alla prima causa che trovi. Trovando 5 cause al problema, potrai avere 5 punti diversi sui quali intervenire. Sono certo che almeno in uno di questi puoi fare qualcosa.

Ecco come il "non ci posso fare niente" può diventare un "su questo punto specifico posso fare qualcosa". Ecco come puoi veramente andare alla radice di un problema, al motivo che sta a monte di tutto. Ecco come ognuno può contribuire a risolvere un problema; ecco come anche tu puoi fare qualcosa per far sì che i valori positivi siano sempre meno ostacolati da problemi e possano così emergere nel loro splendore e siano sempre più trasmessi in maniera concreta ed efficace.

Ricordati sempre che se vorrai trasmettere un valore positivo, dovrai confrontarti con i problemi che lo oscurano e ne impediscono il trionfo. Dovrai lavorare sodo per eliminare il maggior numero di problemi che lo minacciano, dovrai per questo avere ben chiaro ciò che vuoi trasmettere e portare avanti nella tua vita da una parte e dall'altra dovrai chiederti sempre 5 perché!

martedì 18 ottobre 2011

Intelligenza: è possibile misurarla?

"L'intelligenza è troppo complessa per catturarla con un semplice numero" così affermava Alfred Binet, considerato (non a ragione e probabilmente sarebbe lui stesso a non vantarsi di questo) il padre dei testi per il quoziente di intelligenza. 

Alfred Binet, morto proprio 100 anni fa, aveva perfettamente ragione. Purtroppo non mi sembra che sia stato molto ascoltato. Fin troppe volte oggi si intende per intelligenza la "bravura" di un ragazzo a scuola, il suo saper eseguire dei compiti. Si classificano così le persone in intelligenti e stupide, magari solo per il maggiore o minore bagaglio di conoscenza, ma come abbiamo già sottolineato qui, il sapere tante informazioni significa erudizione e non proprio intelligenza.

Sono stati svariati i tentativi di legare l'intelligenza a misurazioni precise e standard. Binet stesso è stato testimone di due tentativi di diverso approccio. Il primo più "medico" che ha cercato di creare una relazione tra misura del cranio e intelligenza e l'altro sistema più psicologico che è appunto quello dei test. 

Cerchiamo di soffermarci per un attimo su questi due esempi per vedere cosa è successo e per capire quali possono essere le conseguenza di un errato concetto di intelligenza.

La relazione tra dimensione del cervello e grado di intelligenza è stata affermata da "grandi" studiosi, quali Galton, Broca, e altri che hanno portato avanti una serie di studi per sostenere senza ombra di dubbio che la craniologia fosse un sistema efficace per classificare i più intelligenti e i meno intelligenti. 

Quale fu la prima conseguenza? Ovviamente la classificazione del valore intellettuale delle razze. E prova a indovinare quali erano le più importanti e seguite affermazioni? Prima tra tutte che le razze superiori avevano un cervello più grande, rispetto a quelle inferiori. Questo fatto è rimasto per molto tempo considerato vero e per questo molti hanno ritenuto inferiori e stupidi i neri e gli indiani, rispetto ai bianchi. Qualcuno purtroppo ancora oggi lo pensa (come per esempio il premio Nobel per la Medicina James Watson).

Altra conseguenza è stata la classificazione di un'altra categoria di inferiori: le donne (anche questa volta il "grande" Watson sarebbe d'accordo). Secondo gli studi svolti nell'800 le donne avevano una dimensione cranica inferiore a quella degli uomini, quindi erano meno intelligenti.

Veniamo adesso ad Alfred Binet, che vorrei oggi ricordare, nel suo 100esimo anniversario di morte, cercando di fare un po' di giustizia al suo esemplare approccio scientifico. Nel 1898 scriveva che: "La relazione tra l'intelligenza dei soggetti e il volume della loro testa (...) è ben definita ed è stata confermata da tutti i ricercatori metodici, senza eccezione." e ancora " Dato che questi lavori includono osservazioni su diverse centinaia di soggetti, possiamo concludere che l'affermazione precedente deve essere considerata incontestabile".

Tre anni di lavoro con successiva pubblicazione di nove relazioni sulla craniometria, avevano tolto ogni certezza a Binet che arrivò ad affermare: "non esisteva neanche un millimetro di differenza tra le misure cefaliche degli studenti più intelligenti e quelli meno intelligenti. L'idea di misurare l'intelligenza tramite le misurazioni della testa sembrava ridicola" (cosa poi confermata fino ad oggi, non esiste correlazione tra dimensione cranica e capacità di risolvere problemi). Così Binet sposta la sua attenzione su un secondo approccio.

Se prima aveva cercato di collegare l'intelligenza con metodi "medici", nel 1904, grazie all'incarico datogli dal Ministro della Pubblica istruzione di identificare un sistema per poter identificare i bambini che avevano particolare bisogno di sostegno e un sostegno educativo, si concentra su un metodo "psicologico", elaborando una scala che, proprio l'anno dopo la sua morte, fu ritoccata (ad opera di Stern) per dar luogo al primo vero test sul quoziente d'intelligenza. 

Sappiamo tutti le tragiche conseguenza che ha dato luogo l'utilizzo del test del Q.I. oggi e nel secolo precedente. Proprio Binet ci spiega l'errore di questo ulteriore collegamento tra intelligenza e Q.I. 

Nel 1905 affermava con forza: "Parlando propriamente, la scala non permette una misurazione dell'intelligenza, perché le qualità intellettuali non sono sovrapponibili, e quindi non possono essere misurate come puo' essere misurata una superficie lineare"

Purtroppo la nostra scuola, e non solo quella italiana, ha vissuto per lungo tempo con maestri imbevuti del concetto di bambino intelligente e bambino stupido. La preoccupazione di Binet era proprio questa nei confronti degli insegnanti. "Essi sembrano ragionare nel modo seguente: "Ecco un'ottima opportunità per liberarci dei bambini che ci pongono problemi", e senza vero spirito critico, designano coloro che sono risultati indisciplinati o disinteressati alla scuola".

L'intelligenza, in conclusione, ed è questo che mi preme sottolineare, non è una quantità fissa, ma una facoltà dell'essere umano, che ci distingue da tutti gli altri esseri. L'intelligenza non dipende intrinsecamente dalla materia, infatti, potendo formare concetti universali, non è legata strettamente alle condizioni restrittive della materia. La stessa etimologia ci dice che è qualcosa di più del nostro cervello: intelligenza significa intelligere, ossia intus-legere (leggere dentro) o intus-ligare (legare dentro) suggerendo che essa è una facoltà che sta nel più intimo di noi.

Sarebbe bello andare avanti parlando di intelligenza artificiale o arrivando a parlare di alcune nuove teorie che propongono una sorta di intelligenza collettiva, partendo dal presupposto che nessuno sa tutto e che il sapere risiede nell'umanità. Anche in questo caso, il concetto di intelligenza è stato ridotto al solo sapere, alla quantità di informazione che uno o l'umanità può avere, ma l'intelligenza è piuttosto la facoltà, la capacità di raggiungere questa determinata conoscenza e sapere e non il dato, l'informazione stessa.

Tu cosa ne pensi?

lunedì 17 ottobre 2011

Giornata della Alimentazione

Secondo la Banca Mondiale, nel biennio 2010-2011 l'aumento dei costi degli alimenti ha spinto quasi 70 milioni di persone nella povertà estrema. Per questo il tema della Giornata Mondiale della Alimentazione 2011 è "Prezzi degli alimenti - dalla crisi alla stabilità".

In molti nei discorsi di oggi hanno sottolineato il legame tra fame e libertà, da Benedetto XVI ai vari rappresentanti e autorità, fino a Franco Frattini, Ministro degli Esteri, che ha affermato questa mattina alla commemorazione del 60esimo anniversario del trasferimento della Fao a Roma: "un uomo affamato non è mai un uomo libero".

Questo mi fa pensare una volta di più che la libertà è legata alla responsabilità in modo imprescindibile e che noi, che non possiamo di certo dirci affamati o sofferenti a causa della fame, essendo "più liberi", abbiamo un'enorme responsabilità.

Sembra che proprio non riusciamo ad accorgerci che "Nel mondo circa un miliardo di persone soffre la fame o è vittima di malnutrizione. Si tratta di circa un settimo della popolazione mondiale", come ha sottolineato oggi il direttore generale della Fao, Jacques Diouf. Quello che voglio dire è piuttosto che ci accorgiamo, perché bisognerebbe essere ciechi per non vedere le immagini sempre più crude che i vari mezzi di comunicazione ci presentano di continuo, ma rimaniamo inermi, passivi, come se fosse una situazione normale, inevitabile.

Nessuna vittima della fame però è una vittima inevitabile. Non possiamo pensarlo. Se iniziamo a far entrare questa idea in noi, abbiamo già perso.

Allora è una situazione solo della nostra epoca moderna la fame?
Assolutamente no. L'uomo si è sempre dovuto confrontare con la propria sopravvivenza e con il dover trovare il cibo fin dall'antichità. In epoche passate ci sono state devastazioni e carestie così vaste che si ricordano in tutti i libri di storia. La fame era ben conosciuta nelle campagne greche, come in quelle romane. Questa "lotta per il cibo" non si è mai arrestata, fino ai giorni nostri.

Cosa provoca la malnutrizione?
Donne, uomini e bambini, a causa dei loro "governi" fragili, più in mano a clan e a bande e per i nostri continui sprechi, hanno subito gravi danni fisici irreversibili per una scarsa alimentazione. Alcuni sono destinati ad una morte rapida, altri a vegetare con malformazioni permanenti come ritardi mentali, rachitismo, cecità. Quest'ultima trova circa 7 milioni di nuovi "fan" ogni anno, solo per fare un esempio, che si potrebbe facilmente evitare introducendo vitamina A tramite l'alimentazione dei bambini.

Dov'è la maggior parte delle persone che vive in condizioni di sottoalimentazione?
- 18% in Est e Sud Asia;
- 35% in Africa;
- 14% in America Latina e Caraibi;
- 3/4 dei gravemente sottoalimentati vivono in campagna (un controsenso visto che sono proprio questi a lavorare la terra che porta i frutti...);
- 1/4 sono nelle bidonvilles attorno alle megalopoli del Terzo Mondo;
In cifre assolute è l'Asia il continente più colpito, ma anche i paesi della nostra Europa sono toccati: soprattutto anziani immobili, donne sole e bimbi piccoli.

Per fare un esempio alquanto strano... Il Brasile è uno dei maggiori esportatori di cereali, eppure nel nordest ogni anno la fame provoca delle vere e proprie stragi.

La causa di tutto questo è la sovrappopolazione e quindi il grande numero di persone di fronte ad una oggettiva scarsità di cibo?
Assolutamente NO! La sovrappopolazione è la scusa dei Ponzio Pilato, di chi vuole lavarsi le mani, dei ricchi (e non solo) che non vogliono muovere un dito. Di chi ha gettato la spugna ancora prima di provarci. Di chi si fa prendere dalle vecchie teorie marxiste... Il mito della sovrappopolazione consente a molti di tralasciare, dimenticare la tragedia che stanno vedendo passivamente. È la giustificazione di chi non ha mai sofferto la fame e non può nemmeno immaginarla.

Come possiamo essere sicuri di questo?
Bastano i dati. Più di un decennio fa la Fao aveva presentato un rapporto che stabiliva che l'attuale capacità produttiva poteva sfamare più di 12 miliardi di persone (il doppio della popolazione mondiale attuale). Oggi, i sistemi di produzione sono avanzati e la capacità è aumentata ancora di più. Inoltre, i calcoli erano stati fatti su un concetto di nutrire che equivaleva ad una razione quotidiana tra le 2400 e le 2700 calorie a persona. Ci sono tante ragazze che conosco che vivono benissimo, in gran forma, con meno di queste calorie giornaliere.

Quali sono le cause principali?
La principale causa è la scorretta distribuzione. Tutti avrebbero da mangiare se la distribuzione fosse equa, anzi ci sarebbe molto di più per tutti. Di conseguenza un ulteriore problema è lo spreco. Prova solo a pensare quanto cibo sprechi tu stesso. Capita a tutti, non negarlo. È tipico della nostra società, compriamo in eccesso e molto poi lo gettiamo. Lo facciamo con le cose, che molto spesso nemmeno utilizziamo (o molto poco) e facciamo lo stesso con il cibo che dopo "poco" ritroviamo con la muffa o lasciato in frigo a scadere... Un terzo del cibo prodotto nel mondo viene sprecato come sottolineano i dati recenti della Fao. In Italia sono circa 10 milioni di tonnellate l'ammontare dello spreco. Per dirti, quando abbiamo fatto l'ultima Operazione Kilo abbiamo raccolto circa 3.500 kg di cibo. Non riesco nemmeno a immaginare 10 milioni di tonnellate buttate nell'immondizia... :-(
Ci sono poi cause strutturali e cause congiunturali (carestie, uragani, siccità...)

Concludo solo affermando che si devono prendere due diversi tipi di misure e devono essere intraprese entrambe allo stesso tempo. Da una parte le misure d'emergenza che cercano di sistemare la situazione attuale e le urgenze di certe zone: una di queste è proprio quella che sostiene e promuove il nostro Paese per il Corno dell'Africa). Dall'altra parte devono essere portare avanti quelle misure strutturali che garantiscano una corretta distribuzione delle risorse e un controllo di prezzi e sprechi (investimenti nelle infrastrutture, nelle tecnologie, nei sistemi di marketing e di comunicazione, oltre che nell'istruzione, nella ricerca e nello sviluppo.

Nessuna vittima della fame è una vittima inevitabile. Io ci credo veramente e tu?

venerdì 14 ottobre 2011

RONNA VAUGHN: incinta in terza media

"Il giorno dopo Natale dissi a mia madre che dovevo parlarle. Stava cucinando la cena e mi disse che non aveva tempo. Le dissi, "No, Mamma, dobbiamo parlare ora. Devi sederti." Fu quello il momento in cui le dissi che pensavo di essere incinta. Ero in terza media."

Questo è l'inizio della storia che voglio raccontarti oggi e la protagonista è Ronna Vaughn. Sei curioso di sapere cosa è successo a Ronna e al suo bambino? Cosa le ha consigliato la madre e cosa ha fatto il padre del bambino? 

Ho scelto questa storia tra tante altre, perché credo rappresenti qualcosa di molto attuale, una situazione che potrebbe presentarsi anche qui in Italia e forse qualche giovane che sta leggendo ha vissuto qualcosa di simile. Ho deciso di raccontare la vita di Ronna anche per un altro motivo, per la sua inattualità. Lei, infatti, ha fatto qualcosa che probabilmente non ti aspetti, anzi ha fatto molto di più... 
Ecco come continua la storia... Buona lettura! 

"La sua prima domanda (quella della mamma si intende, mentre erano ancora sedute una di fronte all'altra) fu di chi era. Poi disse, "Non importa, lo so chi è". Lasciò la stanza e non mi disse altro al riguardo per alcuni giorni.
Andammo dal dottore qualche giorno dopo. Ero incinta di tre mesi. (...) Quando il dottore ci disse che ero incinta, mi misi a piangere all'improvviso. Mia madre fece lo stesso. Fu terribile.

Lo raccontai al mio ragazzo e lui mi disse che ci sarebbe stato per il bambino - non importava cosa sarebbe successo tra noi due.
Due settimane più tardi venni a sapere che anche la mia migliore amica era incinta del mio ragazzo. Lui non negò. Piansi tutte le notti. Ero davvero a pezzi.

Non avevo mai pensato che l'aborto potesse essere la soluzione giusta da fare. I miei genitori erano divorziati e quando io e mia mamma andammo da mio papà per dirgli che ero incinta, la sua prima parola fu aborto. Disse che avrebbe pagato lui. Mia madre voleva lo stesso. In segno di rispetto, ci pensai. Ma dissi loro che non potevo. (...)

Andai a scuola fino alle ultime sei settimane. (...)
A quel tempo - all'ottavo mese - i miei nonni erano stati male e avevano bisogno di qualcuno che si prendesse cura di loro. Mia madre comprò una casa accanto alla loro per esserli vicina.
Sono stata contenta di trasferirmi. Il mio ragazzo abitava proprio dall'altra parte della strada. Prima di rimanere incinta eravamo insieme tutto il tempo. Ma adesso mi evitava.

Mentre stavo facendo una doccia a casa dei miei nonni una sera sentii un dolore acuto. Mia nonna chiamò mia madre e lei mi portò all'ospedale subito. (...)"

Il giorno dopo (22 luglio) nacque Robbie e Ronna aveva 15 anni. Il Dipartimento di Salute Umana del Tennessee fornì a Ronna tutti gli aiuti necessari: consulenza individuale, supporto emotivo e servizi di aiuto per lei ed il bimbo, così Ronna riesce a ricominciare la scuola fin da quando Robbie ha solo un mese. 

Le parole di Ronna ci fanno capire la sua situazione a quell'epoca: "Gli davo da mangiare, gli facevo il bagnetto, facevo i compiti e lo mettevo a letto - tutti i giorni. Qualche volta restavo sveglia fino all'uno o due di notte preparando bottiglie e facendo i compiti. e dovevo alzarmi alle 5:30 del mattino per prepararmi, per poi preparare Robbie, portarlo all'asilo nido, così da essere in tempo per la scuola. 

Non avevo molti amici. Tutti mi conoscevano, tutti erano carini con me, ma non avevo degli amici vicini. Non volevano trascinarsi dietro un bambino. 

Il mio tempo era sempre per la scuola, i compiti e Robbie. A pranzo le ragazze parlavano delle feste del fine settimana, di shopping, di trucchi, vestiti e delle attività del dopo scuola. Le ascoltavo e pensavo che non avrei mai potuto comprarmi dei nuovi vestiti come le altre ragazze. Dovevo comprare i pannolini. Non potevo comprarmi delle scarpe nuove come le altre. Robbie aveva bisogno delle scarpine."

All'ultimo anno di scuola, Ronna prende un appartamento tutto suo. Alla solita routine aveva aggiunto il lavoro in una lavanderia, dopo le lezioni. Il suo stipendio finiva ancor prima di poterlo avere in mano.

Un giorno nella sua scuola viene organizzata una sorta di settimana di autogestione, con una fiera espositiva di molte associazioni nonprofit.
Una in particolare colpisce Ronna per il loro programma chiamato STARS (Students Teaching and Respecting Sexuality).

"STARS è formata da giovani che hanno avuto figli e adolescenti che hanno scelto di astenersi dal sesso. Sapevo che in quel momento volevo iscrivermi. Se potevo prevenire ad un adolescente di dover combattere come avevo fatto io, allora ne valeva la pena. 
STARS promuove l'astinenza, la castità. Parlavo con studenti delle medie e del liceo e dicevo loro i benefici del saper aspettare. Dicevo loro che avevo preso la decisione di non fare più sesso fino al matrimonio. Dicevo loro che se avevano preso la decisione di fare sesso potevano prenderne una migliore di fermarsi e aspettare. (...) li incoraggiavo a considerare le conseguenze del loro comportamento e di fare le scelte con la propria testa.

Condivido la mia storia. Racconto loro che avevo fatto la scelta di fare sesso e ho fatto la scelta di tenere Robbie, la mia responsabilità era prendermi cura di lui.

Racconto loro cosa mi chiese mia madre quando sono rimasta incinta e come ho deciso di prendermi cura del mio bambino. Le dissi "Non lo so, ma lo amo". È vero che puoi amare un bimbo - e io amo Robbie così tanto - ma non importa quanto tu possa amare il tuo bambino, l'amore non compra i pannolini, non può portare cibo su una tavola e un tetto sopra la testa del bimbo. 
Racconto tutte le cose che mi sono mancate (...) cose così importanti per la vita di un giovane. (...)

Potevo facilmente rinunciare. Spesso sono così esausta. Ma Robbie mi fa andare avanti.
Ho sempre pensato che volevo fare qualcosa di buono nella mia vita, e quando ho avuto Robbie - qualcun altro per il quale essere responsabile - ho capito che dovevo dargli la migliore educazione possibile e impegnarmi più che mai. Che tipo di vita poteva avere Robbie se avessi rinunciato?

Sono stata spesso tanto arrabbiata. Volevo dare tutta la colpa la mio ragazzo. (...)

Adesso non sono più arrabbiata. Essere arrabbiati non ti fa andare da nessuna parte; non ti fa realizzare nulla. Ora penso al modo di aiutare gli altri. Sono felice se posso fare la differenza nella vita di una ragazza."

Spero che la storia di Ronna possa fare la differenza anche nella tua vita. La sua è stata una vita intensa, una vita piena di scelte che ha saputo affrontare con responsabilità, capendo che la cosa più bella e che può renderti davvero felice è avere il coraggio di donarsi agli altri.

* il testo del racconto di Ronna è tratto dal bellissimo libro Teens with the courage to give di Jakie Waldman ed è una mia personale traduzione dal testo in inglese.

giovedì 13 ottobre 2011

Il valore dell'ordine (parte pratica)

"È una vita squisita quella che si mantiene in ordine fin nel suo intimo", con queste parole Michel de Montaigne sottolinea ciò che ho scritto nel post di ieri, ossia che l'ordine è un grande valore perché non solo riguarda qualcosa che è fuori di noi, ma rispecchia noi stessi, il nostro essere e stare nel mondo.

Per conquistare un valore, bisogna conoscerlo, capire cosa significa e cosa può portare di buono alla nostra vita, soprattutto si deve iniziare a viverlo, a praticarlo. Per diventare finalmente una persona ordinata si possono attuare alcune strategie, partendo dalle piccole cose...

Riordinare la propria stanza è qualcosa che credo ogni giovane debba fare, non come obbligo, ma come necessità... le cose si accumulano e senza nemmeno accorgerci ci ritroviamo che quasi nemmeno la porta si apre più o che nella scrivania non ci resta che un piccolo posto dove possiamo aprire solamente un quadernino... Ti è mai capitato? ;-)

Bene, partire in quarta e dedicare, magari tutto un giorno, a sistemare completamente o quasi, la propria camera, non è certo il modo migliore di conquistare il valore dell'ordine. Molti fanno così e si sentono anche felicissimi e soddisfatti del grande risultato ottenuto... quello che non sanno, o meglio non vogliono ammettere sul momento, è che tra qualche settimana la porta farà ancora una volta fatica ad aprirsi e la scrivania sarà più piena di prima. È ovvio, così facendo non hai creato l'abitudine, non sei diventato ordinato.

Ecco come fare allora:

1) Prima di partire visualizza lo spazio e il suo ordine. Se è vero come dice la frase iniziale, che l'ordine deve partire dal nostro intimo, quello che prima dobbiamo fare è cercare l'ordine dentro di noi. Molto spesso invece di ordinare la camera, sembra che sia lo spazio ad ordinarci. Cerca allora di immaginare un posto (scrivania, sedia, armadio...) e cerca di visualizzare il suo spazio e le cose che dovrebbero esserci.
Prova ad applicare mentalmente (solo mentalmente per ora) la regola "ogni cosa ha il suo posto" ai vari oggetti che più usi. Qual è il posto giusto per questo oggetto che uso spesso? Se non ti sei mai posto questa semplice domanda, ti accorgerai che forse non è tanto facile dare una risposta chiara.

2) Cerca di essere esigente e cristallino con te stesso. Prova a pensare, in questa fase, ancora interiore, che ogni oggetto ha un suo preciso posto, uno solo, non due o tre possibilità. Bene, se riesci a fare questo, stiamo arrivando al punto di partenza.

3) Segui sempre una regola, la tua regola. Già avere una regola è ordine.
La prima regola fondamentale per me è questa: ogni giorno posso mettere al suo posto qualcosa che non lo è!
Questo è il metodo più efficace per creare in noi stessi il valore dell'ordine. Il faticare tutta una giornata non sarà di sicuro il sistema più bello e divertente che ci farà venire voglia di ripetere l'esperienza, anzi. Invece, il semplice fatto di mettere una sola cosa al posto ogni giorno, è qualcosa che sicuramente non può pesare a nessuno e anzi, ti dirò, potrebbe suscitare una competizione...

4) Entra in competizione, sfida te stesso. La sfida è molto semplice: riesci ad essere così attento da trovare ogni giorno almeno una cosa fuori posto, da sistemare? È questa una questione di osservazione, di saper guardare e nello stesso tempo immaginare, perché oltre a vedere, devi prevedere che posto dovrebbe avere quel dato oggetto. Ti accorgerai presto che questo ti servirà per essere anche più attendo ai singoli dettagli della vita e della tua quotidianità a prescindere dall'ordine.

5) Impara a mettere in ordine ciò che usi. Il secondo segreto, oltre alla regola fondamentale, è proprio questo. Dopo aver finito di usare qualcosa rimettila al suo posto, perché come abbiamo detto  "ogni cosa ha il suo posto", quindi ogni cosa deve andare "al suo posto". Facendo così ti eviterai di dover applicare una volta in più la regola fondamentale.

6) Cerca di identificare le persone ordinate e segnati le loro caratteristiche positive. Molto spesso per conquistare un valore ci vuole un'arma vincente: la motivazione giusta. Il fatto di trovare nelle persone che ti circondano qualcuno di ordinato, ti dovrebbe far pensare che si può essere così. Poi potresti anche cercare di fare una lista delle caratteristiche che credi di poter acquisire se diventerai ordinato. Quante ne riesci a trovare? Magari se usi la tecnica delle mappe mentali ti viene più facile (la puoi trovare qui).

7) Scrivi la tua giornata tipo (per esempio quello che hai fatto ieri) e trasformala in una giornata ordinata. Prendi un bel foglio di carta e scrivi le due giornate in colonne una vicina all'altra e poi confronta. Segna tutte le cose che potresti fare in più nella tua giornata ordinata e aggiungine se ti rimane spazio (o meglio tempo). Da domani potresti iniziare a inserire nella tua giornata una di queste cose realmente... e vedere come va... e continuare così. Quanto tempo a disposizione se si va a braccetto con l'ordine, vero?

8) Tieni in ordine te stesso. L'ordine è incompatibile con lo sporco. Ok, non ti sto dicendo di lavarti in continuazione, ma di tenerti in ordine e di prenderti cura di te stesso, nel vero senso del termine. Non in modo superficiale e solamente esteriore, ma di provare ad immaginare come potrebbe essere ordinato il tuo corpo. Ovviamente in questo caso si parte dalla pulizia, ma poi potrai scoprire che ci sono tante piccole cose da "sistemare"... capelli, unghie, barba... ma non solo. Cos'altro??? Pensa per esempio a gesti, movimenti, posture che potresti ordinare.

9) Prepara un bel foglio con questi consigli e magari aggiungine qualcuno di tuo. Scrivili in grande, cercando di riassumere ogni indizio con una parola o una frase breve. Appendi il foglio da qualche parte. Il posto giusto sarebbe quello che vuoi più di tutti tenere in ordine. 

Fammi sapere poi come va e se hai aggiunto qualche consiglio. ;-)

Come vedi con questi suggerimenti non ti ho detto che per essere ordinato devi mettere tutte le cose da distanza di 2 cm, o dal più grande al più piccolo, o in ordine alfabetico, o per colore. Questo lo deciderai tu. Non si può  imporre il proprio ordine, perché questo valore ognuno di noi lo personalizza e lo deve fare suo. Se si applicano delle regole imposte "questo va qui, questo va lì", non significa che si è ordinati.

Tu cosa ne pensi? Qualche altro consiglio?

mercoledì 12 ottobre 2011

Il valore dell'ordine

"Serva ordinem et ordo servabit te" questo monito latino ci assicura che se conservi l'ordine, l'ordine ti salverà. Chi mi conosce, sa che non posso che sottoscrivere in pieno questa frase. Devo essere sincero, mi piace l'ordine, mi piace che ogni cosa, o il massimo delle cose possibili siano in un determinato posto, il "loro". Mi viene abbastanza facile tenere in ordine materialmente gli oggetti e ho sempre avuto questa predisposizione (che forse si è accentuata con gli anni, ma spero non sia ancora diventata una mania... ah, se doveste accorgervi del contrario, avvisatemi).

Con il tempo ho capito che l'ordine è un grandissimo valore per la vita di ogni persona. Certo, ognuno ha un "suo" ordine, così come ognuno ha una suo cammino in questa vita, una strada da percorrere passo dopo passo fino alla fine. Questo non significa che ci si possa nascondere nella comodità della frase: "ma io nel mio disordine mi trovo". Non ha senso e non può rispecchiare la realtà. Se veramente ti ci ritrovi, significa che ha un ordine. Piuttosto è meglio affermare "questo è il mio ordine!", ma non far diventare, come troppe volte accade oggi, un valore o una virtù qualcosa che è più vicina ad un vizio.

Vorrei soffermarmi brevemente sui molteplici significati che può assumere la parola ordine.
Mi viene in mente quell'ordine pubblico che viene solitamente assicurato dalle "forze dell'ordine". In questo concetto si nota subito che l'ordine, non è qualcosa di debole, blando, vulnerabile, molle e moscio. Anzi, se ci pensi bene anche quando devi mettere ordine (magari nel disordine della tua camera), devi usare energia, spostare, sollevare, eliminare, strappare, gettare... Chi è ordinato è quindi per prima cosa forte e agguerrito, non solo fisicamente, soprattutto mentalmente.

Come non pensare subito, collegato alle forze dell'ordine, a quel significato di comando? Anche in questo caso possiamo applicare lo stesso ragionamento fatto sopra, inoltre, possiamo collegare questo significato e quindi l'ordine, all'obbedienza, che non è sottomissione. È piuttosto quel valore che ci rende capaci di seguire per prima cosa la nostra coscienza e poi ciò che per il nostro bene ci viene "comandato" dagli altri. Chi non ha un ordine interiore, non può avere nemmeno un'obbedienza, perché non riuscirà a sentire chiaramente cosa gli dice la propria coscienza.

C'è poi l'ordine del giorno, che ci insegna che c'è un ordine nel tempo (anche nelle stesse giornate c'è un ordine... che fino ad oggi non si è ancora invertito che io sappia); l'ordine come disposizione di qualcosa, ci inserisce invece in un sistema spaziale (esempi di questo sono l'ordine delle cose, degli oggetti in uno spazio, oppure l'ordine alfabetico, che è forse il più usato per parole, titoli, nomi...).

Ci sono tantissimi altri significati di ordine, come quello architettonico, religioso (i francescani per esempio sono un Ordine), professionale (medici, avvocati...) e così via... sono certo che tu sei più bravo di me ad individuare tutti gli altri casi.

Il significato che più preferisco è quello che deriva dalla sua antica etimologia, ossia da quell'ordine che si ritrova nei fili intrecciati di un tessuto, quell'ordine che dà una struttura, che probabilmente dall'esterno non si coglie e nemmeno si capisce. È quell'ordine che rispecchia il lavoro di un tessitore, che pazientemente incrocia i fili di diverse tonalità per far emergere poi un vero capolavoro. Solo seguendo questo "ordine" il risultato potrà essere quel bel tappeto, un maestoso arazzo, una morbida e calda coperta...

È proprio questo che rende l'ordine un valore importante e fondamentale (oltre a quello che abbiamo detto prima). Questo modo di vederlo in profondità, come qualcosa che non è solo esterno a noi, ma ci rappresenta, ci investe, fa parte di noi. Metaforicamente dovremmo pensarci proprio come un artigiano che tesse il tappeto della propria vita. Che tu lo voglia variopinto o colorato, che tu lo voglia a linee, con un'unica sfumatura... sempre dovrai seguire un certo ordine, perché il risultato sia come vuoi.

Se invece, credi di poter lasciare la tua vita al caos e al disordine, credendo di renderla più emozionante, spericolata e avventurosa, potresti arrivare a incrociare l'ultimo filo e renderti conto che non è ciò che volevi e che anzi il tessuto finale, la tua vita, presenta una serie di buchi e fili svolazzanti...

"Dove regna l'ordine, ogni strada è la via maestra". Questo vecchio proverbio dice proprio il vero. Quando si acquisisce l'ordine, sparisce anche quella sensazione strana e un po' spiacevole di non sapere dove andare. Quella sorta di confusione permanente. Non si capisce cosa fare con la propria vita. Ecco perché, con l'ordine, ogni strada diventa la via maestra. Chi porta con sé, lungo il cammino della vita, il valore dell'ordine, nella sua complessità e profondità, camminerà sempre nella strada giusta, perché potrà riconoscerla facilmente, saprà a che punto è arrivato e "facendo ordine" ogni tanto, come una sana abitudine, potrà sempre capire se si sta allontanando dalla via della propria realizzazione personale.

Ricordati che per conquistare il valore dell'ordine, si deve partire dalla pratica. La maniera più facile è capire come poter essere ordinati in quell'ordine dispositivo, quell'ordine che noi creiamo e che ci rappresenta con gli oggetti che ci circondano. 

"Ordine vuol dire la cosa giusta al posto giusto e al momento giusto. Sono i confini a determinare quali sono le cose, i luoghi e i momenti giusti" così diceva Zygmunt Bauman. Sistemare il nostro spazio, mettere in ordine quegli ambienti (la casa) che rientrano nella nostra quotidianità vuol dire fare i conti con i fondamenti del nostro essere nel mondo, sono i luoghi metaforici della nostra intimità. L'ordine fisico, nello spazio, è qualcosa che supera la geometria euclidea, perché ci viene incontro e dipende dal nostro agire, da noi stessi. Non rimane uno spazio neutro.

Ho già scritto un bel po', quindi mi fermo qui e domani, con ordine, cercherò di buttare giù qualche suggerimento pratico di come conquistare il valore dell'ordine! Intanto, pensaci anche tu e se hai qualche dritta, scrivi un commento, così domani posso prendere spunto. Grazie!

martedì 11 ottobre 2011

Come creare un'idea?

Una spiccata caratteristica che individua un giovane è la quotidiana capacità di immaginazione. I giovani hanno la straordinaria attitudine a creare il nuovo, a inventare, a far scaturire idee. 

Questo almeno dovrebbe essere una dalle qualità di un giovane, perché si è vecchi, o considerati tali, quando non si risolvono più i problemi con delle idee e non si dedica più tempo ad immaginare qualcosa di nuovo. Insomma, si considera vecchi chi non ha più la capacità di proiettarsi nel futuro.

Sviluppo, progresso, successo, capacità di migliorarsi... passano attraverso la produzione di idee, ossia l'invenzione. Lo storico della scienza Alexander Koyré suddividendo la tecnica preindustriale da quella industriale e moderna afferma che la prima si basa sull'adattamento delle cose, la seconda sullo sfruttamento delle cose e la terza sulla creazione delle cose.

Tu che cosa hai inventato? Bhe, è una domanda un po' eccessiva e ti capisco se non hai una risposta, ma almeno dovresti averla per questa domanda: Che cosa ti piacerebbe inventare? Hai mai pensato di creare qualcosa di nuovo?

Se anche questa volta la risposta è quel biiiip di quando si stacca la spina, significa che devi metterti subito a ricostruire ed alimentare la tua capacità immaginativa. Il blocco dell'immaginazione può essere dovuto a diverse cause, una può essere il fatto di vivere, come ho detto ieri, in un sistema superinformato, un'altra può essere l'insicurezza o l'incertezza, o un mix di tutto questo.

!) Per questo come prima cosa se vuoi diventare un vulcano di idee è sapere che esiste un metodo per stimolare e sviluppare la propria immaginazione. O meglio, ci sono tutta una serie di tecniche che aiutano a trovare idee e conoscerli ti può dare di certo sicurezza, che è la condizione indispensabile per attivare l'immaginazione.

") Ci vuole talento. Questo significa che le idee arrivano non in maniera chiara ed evidente, almeno non nei loro particolari. Solitamente la persona viene fulminata all'improvviso da qualcosa che non sempre viene capita del tutto e molto spesso passa senza fare rumore. C'è chi è attento solo al rumore del tuono e si spaventa e chi invece riesce a godere della bellezza improvvisa del fulmine e aspetta il tuono con consapevolezza.

£) Qualche tecnica concreta:

MAPPE MENTALI: sono uno degli strumenti più interessanti, non solo per studiare o prendere appunti (e accelerare incredibilmente la fase dei ripassi), ma tornano indispensabili anche come stimolo di idee. Se non sai cosa sono, cerco di spiegartelo velocemente: prendi un foglio bianco, scrivici al centro un'idea, cercando di concretizzarla in una parola o in un disegno (ancora meglio perché questo stimola l'immaginazione alla grande) e poi andando verso la periferia prova a buttare giù tutte le parole, immagini o suoni che riesci ad associare a questa idea centrale. Negli spazi vuoti che sono rimasti (dai, sono sicuro che ce ne sono, non tirarti indietro), aggiungi le emozioni che ti suscita quest'idea centrale o quelle associate a ciò che hai scritto. Magari utilizza un colore particolare per evidenziare queste emozioni... chissà quale hai scelto... il solito rosso? :-(
VARIANTI CREATIVE ALLE MAPPE: A) Appendi un cartellone o prenditi una lavagna e fissata al muro crea la tua mappa. Questo ti permette di avere una visione più ampia, non solo nello spazio. B) Fai delle mappe con i tuoi amici, puoi anche dividerti in squadre e vince chi riesce a trovare più parole, emozioni, immagine associate...

METAFORE: ossia trasformare le vostre idee in qualcosa di vivido e fantasioso. Tutti sanno cosa sono le metafore perché ne siamo circondati e ce ne sono alcune che sono ormai entrati nel linguaggio comune, così se ti dico che sei una volpe, non te la potrai prendere, perché avrai capito che ti sto dicendo che sei furbo. Possiamo imparare a creare queste metafore, cercando di collegare due cose che conosciamo. Prova ad esercitarti proprio così: prendi le prime due entità che ti vengono in mente, non collegate apparentemente tra loro (come per esempio acqua e computer) e cerca di creare la massima somiglianza... che è venuto fuori???

DIVIDERE IN PEZZI: di ogni idea, intuizione o cosa che già conosci cerca di dividerla in pezzetti, anche immaginandoli, non necessariamente fisicamente. Per conoscere qualcosa bisogna per prima cosa aver preso visione dei singoli pezzi che la compongono, poi capire come questi di integrano insieme e infine come tutto questo funziona per un qualcosa (che molte volte non è immediato capire). Molto spesso dal guardare gli oggetti o i problemi nel dettaglio scaturiscono le idee!

$) Ricorda che c'è una bella differenza tra creare e copiare. Ho letto che in giapponese (che non conosco affatto) queste due parole (creare e copiare) si scrivono in modo diverso ma si pronunciano in maniera uguale. Un bel modo per rappresentare con una sorta di metafora una realtà: tra creare e copiare c'è un abisso, ma a volte non si nota la differenza e tanti si vantano di essere creativi copiando.

%) Infine, se vuoi avere davvero delle idee geniali, non devi pensare ad oggi, ma anticipare il domani. Devi cercare di avere quelle idee che precedono i bisogni. Quando sento parlare di ricerche di mercato, di tante statistiche che vogliono intercettare i bisogni e le esigenze delle persone, mi viene sempre da esclamare: "Questo metodo è indietro di almeno un decennio". Chi è davvero innovativo giuda le scelte e non le segue.

Come diceva lo scrittore che ha inventato il paese delle Meraviglie, Carrol, bisogna correre per restare allo stesso posto, ma se vuoi andare oltre, devi correre almeno il doppio!