"L'intelligenza è troppo complessa per catturarla con un semplice numero" così affermava Alfred Binet, considerato (non a ragione e probabilmente sarebbe lui stesso a non vantarsi di questo) il padre dei testi per il quoziente di intelligenza.
Alfred Binet, morto proprio 100 anni fa, aveva perfettamente ragione. Purtroppo non mi sembra che sia stato molto ascoltato. Fin troppe volte oggi si intende per intelligenza la "bravura" di un ragazzo a scuola, il suo saper eseguire dei compiti. Si classificano così le persone in intelligenti e stupide, magari solo per il maggiore o minore bagaglio di conoscenza, ma come abbiamo già sottolineato qui, il sapere tante informazioni significa erudizione e non proprio intelligenza.
Sono stati svariati i tentativi di legare l'intelligenza a misurazioni precise e standard. Binet stesso è stato testimone di due tentativi di diverso approccio. Il primo più "medico" che ha cercato di creare una relazione tra misura del cranio e intelligenza e l'altro sistema più psicologico che è appunto quello dei test.
Cerchiamo di soffermarci per un attimo su questi due esempi per vedere cosa è successo e per capire quali possono essere le conseguenza di un errato concetto di intelligenza.
La relazione tra dimensione del cervello e grado di intelligenza è stata affermata da "grandi" studiosi, quali Galton, Broca, e altri che hanno portato avanti una serie di studi per sostenere senza ombra di dubbio che la craniologia fosse un sistema efficace per classificare i più intelligenti e i meno intelligenti.
Quale fu la prima conseguenza? Ovviamente la classificazione del valore intellettuale delle razze. E prova a indovinare quali erano le più importanti e seguite affermazioni? Prima tra tutte che le razze superiori avevano un cervello più grande, rispetto a quelle inferiori. Questo fatto è rimasto per molto tempo considerato vero e per questo molti hanno ritenuto inferiori e stupidi i neri e gli indiani, rispetto ai bianchi. Qualcuno purtroppo ancora oggi lo pensa (come per esempio il premio Nobel per la Medicina James Watson).
Altra conseguenza è stata la classificazione di un'altra categoria di inferiori: le donne (anche questa volta il "grande" Watson sarebbe d'accordo). Secondo gli studi svolti nell'800 le donne avevano una dimensione cranica inferiore a quella degli uomini, quindi erano meno intelligenti.
Veniamo adesso ad Alfred Binet, che vorrei oggi ricordare, nel suo 100esimo anniversario di morte, cercando di fare un po' di giustizia al suo esemplare approccio scientifico. Nel 1898 scriveva che: "La relazione tra l'intelligenza dei soggetti e il volume della loro testa (...) è ben definita ed è stata confermata da tutti i ricercatori metodici, senza eccezione." e ancora " Dato che questi lavori includono osservazioni su diverse centinaia di soggetti, possiamo concludere che l'affermazione precedente deve essere considerata incontestabile".
Tre anni di lavoro con successiva pubblicazione di nove relazioni sulla craniometria, avevano tolto ogni certezza a Binet che arrivò ad affermare: "non esisteva neanche un millimetro di differenza tra le misure cefaliche degli studenti più intelligenti e quelli meno intelligenti. L'idea di misurare l'intelligenza tramite le misurazioni della testa sembrava ridicola" (cosa poi confermata fino ad oggi, non esiste correlazione tra dimensione cranica e capacità di risolvere problemi). Così Binet sposta la sua attenzione su un secondo approccio.
Se prima aveva cercato di collegare l'intelligenza con metodi "medici", nel 1904, grazie all'incarico datogli dal Ministro della Pubblica istruzione di identificare un sistema per poter identificare i bambini che avevano particolare bisogno di sostegno e un sostegno educativo, si concentra su un metodo "psicologico", elaborando una scala che, proprio l'anno dopo la sua morte, fu ritoccata (ad opera di Stern) per dar luogo al primo vero test sul quoziente d'intelligenza.
Sappiamo tutti le tragiche conseguenza che ha dato luogo l'utilizzo del test del Q.I. oggi e nel secolo precedente. Proprio Binet ci spiega l'errore di questo ulteriore collegamento tra intelligenza e Q.I.
Nel 1905 affermava con forza: "Parlando propriamente, la scala non permette una misurazione dell'intelligenza, perché le qualità intellettuali non sono sovrapponibili, e quindi non possono essere misurate come puo' essere misurata una superficie lineare".
Purtroppo la nostra scuola, e non solo quella italiana, ha vissuto per lungo tempo con maestri imbevuti del concetto di bambino intelligente e bambino stupido. La preoccupazione di Binet era proprio questa nei confronti degli insegnanti. "Essi sembrano ragionare nel modo seguente: "Ecco un'ottima opportunità per liberarci dei bambini che ci pongono problemi", e senza vero spirito critico, designano coloro che sono risultati indisciplinati o disinteressati alla scuola".
L'intelligenza, in conclusione, ed è questo che mi preme sottolineare, non è una quantità fissa, ma una facoltà dell'essere umano, che ci distingue da tutti gli altri esseri. L'intelligenza non dipende intrinsecamente dalla materia, infatti, potendo formare concetti universali, non è legata strettamente alle condizioni restrittive della materia. La stessa etimologia ci dice che è qualcosa di più del nostro cervello: intelligenza significa intelligere, ossia intus-legere (leggere dentro) o intus-ligare (legare dentro) suggerendo che essa è una facoltà che sta nel più intimo di noi.
Sarebbe bello andare avanti parlando di intelligenza artificiale o arrivando a parlare di alcune nuove teorie che propongono una sorta di intelligenza collettiva, partendo dal presupposto che nessuno sa tutto e che il sapere risiede nell'umanità. Anche in questo caso, il concetto di intelligenza è stato ridotto al solo sapere, alla quantità di informazione che uno o l'umanità può avere, ma l'intelligenza è piuttosto la facoltà, la capacità di raggiungere questa determinata conoscenza e sapere e non il dato, l'informazione stessa.
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