mercoledì 8 febbraio 2012

Scrigni di valori - La vita

Il mese di febbraio, ormai da diversi anni, è dedicato alla vita. Molte volte ci siamo soffermati su questo valore fondamentale per ogni uomo, senza il quale nessun altro valore potrebbe realizzarsi. Domenica scorsa è anche stata la Giornata per la vita e a maggio, esattamente il giorno 13, ci sarà a Roma la Marcia per la vita. Iniziativa, quest'ultima, che come giovani di Gente Nuova sosteniamo e promuoviamo, partecipando e collaborando all'organizzazione.

Vorrei condividere con te alcuni estratti di uno dei grandi successi letterali della controversa giornalista italiana Oriana Fallaci. Il libro lo puoi trovare in versione cartacea e in una confezione audio con il testo letto dall'inconfondibile voce dell'autrice.

- Lettera a un bambino mai nato, Oriana Fallaci, BUR, 2009, pagine 154, euro 10
- Lettera a un bambino mai nato. Audiolibro. 4 CD Audio, euro 19
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A chi non teme il dubbio
a chi si chiede i perché‚
senza stancarsi e a costo 
di soffrire di morire. 
A chi si pone il dilemma 
di dare la vita o negarla
questo libro è dedicato 
da una donna 
per tutte le donne. 

Stanotte ho saputo che c'eri: una goccia di vita scappata dal nulla. Me ne stavo con gli occhi spalancati nel buio e d'un tratto, in quel buio, s'è acceso un lampo di certezza: sì, c'eri. Esistevi. E stato come sentirsi colpire in petto da una fucilata. (...)


La mia mamma, vedi, non mi voleva. Ero incominciata per sbaglio, in un attimo di altrui distrazione. E perché‚ non nascessi ogni sera scioglieva nell'acqua una medicina. Poi la beveva, piangendo. La bevve fino alla sera in cui mi mossi, dentro il suo ventre, e le tirai un calcio per dirle di non buttarmi via. Lei stava portando il bicchiere alle labbra. Subito lo allontanò e ne rovesciò il contenuto per terra. Qualche mese dopo mi rotolavo vittoriosa nel sole, e se ci sia stato bene o male non so. Quando sono felice penso che sia stato bene, quando sono infelice penso che sia stato male. Perché, anche quando sono infelice, penso che mi dispiacerebbe non essere nata perché‚ nulla è peggiore del nulla. Io, te lo ripeto, non temo il dolore. Esso nasce con noi, cresce con noi, ad esso ci si abitua come al fatto d'avere due braccia e due gambe. 

Io, in fondo, non temo neanche di morire: perché‚ se uno muore vuol dire che è nato, che é uscito dal niente. Io temo il niente, il non esserci, il dover dire di non esserci stato, sia pure per caso, sia pure per sbaglio, sia pure per l'altrui distrazione. Molte donne si chiedono: mettere al mondo un figlio, perché‚? Perché‚ abbia fame, perché‚ abbia freddo, perché‚ venga tradito e offeso, perché‚ muoia ammazzato alla guerra o da una malattia? E negano la speranza che la sua fame sia saziata, che il suo freddo sia scaldato, che la fedeltà e il rispetto gli siano amici, che viva a lungo per tentar di cancellare le malattie e la guerra. Forse hanno ragione loro. Ma il niente è da preferirsi al soffrire? Io perfino nelle pause in cui piango sui miei fallimenti, le mie delusioni, i miei strazi, concludo che soffrire sia da preferirsi al niente. E se allargo questo alla vita, al dilemma nascere o non nascere, finisco con l'esclamare che nascere è meglio di non nascere. Tuttavia è lecito imporre tale ragionamento anche a te? Non è come metterti al mondo per me stessa e basta? Non mi interessa metterti al mondo per me stessa e basta. Tanto più che non ho affatto bisogno di te.

(...) Sì, è stato mentre gridavo così che ho udito la tua voce: Mamma! E mi son sentita svuotare perché‚ era la prima volta che qualcuno mi chiamava mamma, e perché era la prima volta che udivo la tua voce, e perché‚ non era la voce di un bambino. Era la voce di un adulto, di un uomo. E ho pensato: "Era un uomo!". Poi ho pensato: Era un uomo, mi condannerà". Infine ho pensato: "Lo voglio vedere!". E le mie pupille hanno frugato ovunque, dentro la gabbia, fuori della gabbia, tra gli scanni, al di là degli scanni, per terra, sui muri. 

Ma non ti hanno trovato. Non c'eri. C'era solo una quiete di tomba. E in questa quiete di tomba la tua voce s'è levata, di nuovo: Mamma! Lasciami parlare, mamma. Non avere paura. Non bisogna aver paura della verità. Del resto è già stata detta. Ciascuno di loro ha detto una verità, e tu lo sai: me lo hai insegnato tu che la verità è fatta di molte verità differenti. Sono nel giusto coloro che ti hanno acCusato e coloro che ti hanno difeso, coloro che ti hanno assolto e coloro che ti hanno condannato. Però quei giudizi non contano. Tuo padre e tua madre hanno ragione a rispondere che non si può entrare nell'anima altrui, e che l'unico testimone son io. Soltanto io, mamma, posso affermare che mi hai ucciso senza uccidermi. Soltanto io posso spiegare come l'hai fatto e perché. Io non avevo chiesto di nascere, mamma. Nessuno lo chiede. Laggiù nel nulla non v'è volontà. Non v'è scelta. V'é il nulla. Quando avviene lo strappo e ci accorgiamo di incominciare, non ci chiediamo nemmeno chi l'ha voluto e se ciò è bene o male. Semplicemente, accettiamo e poi aspettiamo di scoprire se ci piace aver accettato. Scoprii fin troppo presto che mi piaceva. Sia pure attraverso i tuoi timori, le tue esitazioni, eri stata così brava a convincermi che nascere è bello e scappare dal nulla una gioia. Una volta nato non ti dovrai scoraggiare, dicevi: neanche a soffrire, neanche a morire. Se uno muore vuol dire che è nato, che è uscito dal niente, e niente è peggiore del niente: il brutto é dover dire di non esserci stato. La tua fede mi seduceva, la tua prepotenza. Sembrava davvero la prepotenza dei tempi remoti in cui la vita era esplosa nel modo che mi avevi narrato. Io ti credevo, mamma. Insieme all'acqua che mi immergeva io bevevo ogni tuo pensiero. E ogni tuo pensiero aveva il sapore di una rivelazione. Poteva avvenire altrimenti? Il mio corpo era solo un progetto che si sviluppava in te, grazie a te; la mia mente era solo una promessa che si realizzava in te, grazie a te. Apprendevo esclusivamente ciò che mi davi, ignoravo ciò che non mi davi: le mie sorsate di luce e di coscienza eri tu. Se sfidavi tutto e tutti per condurmi alla vita,  pensavo, ciò significava che la vita era veramente un dono sublime. Ma poi crebbero le tue incertezze, i tuoi dubbi, e prendesti ad alternare lusinghe e minacce, tenerezza e rancore, coraggio e paura.

(...) Ti ho supplicato di portarmi via con te, subito. E tu mi sei venuto accanto, mi hai detto: Ma io ti perdono, mamma. Non piangere. Nascerò un'altra volta. Splendide parole, bambino, ma parole e basta. Tutti gli spermi e tutti gli ovuli della terra uniti in tutte le possibili combinazioni non potrebbero mai creare di nuovo te, ciò che eri e che avresti potuto essere. Tu non rinascerai mai più. Non tornerai mai più. E continuo a parlarti per pura disperazione.

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