
martedì 31 maggio 2011
Concorso d'Arte Contemporanea UNESCO


giovedì 26 maggio 2011
Superficiali o maturi?


martedì 24 maggio 2011
Non rimandare sempre


venerdì 20 maggio 2011
Educarci per educare il mondo intero!

Tra qualche settimana per la maggior parte degli studenti delle scuole italiane saranno finite le lezioni, per altri inizieranno gli esami di maturità (anche quelli poi finiranno), per altri ancora gli esami universitari… poi con l’estate tutti finiranno qualcosa (si spera).
Questo significa che terminato un percorso scolastico, fatta la maturità, presa la laurea, è terminato il cammino educativo di una persona?
Cosa significa davvero educare?
L’educazione è un percorso continuo di crescita dell’essere, che ci porta a comprendere che la vita è un costante miglioramento e ampliamento degli orizzonti. Un cammino verso il perfezionamento.
Ogni individuo ha delle opportunità ed è necessario dare a ciascuno le giuste opportunità per svilupparle.
L’educazione quindi non si può ridurre al solo percorso scolastico. Sarebbe solo una preparazione, un momento, una fase della vita che poi passa. Bisogna invece considerare l’educazione come lifelong learning, così ci dice anche l’UNESCO, un viaggio che dura tutta la vita.
Facendo diventare l’educazione un valore della nostra esistenza, si arriva a considerare ogni situazione come un’opportunità per educarci ed educare gli altri.
Non si vive più passivamente un momento, ma si sfrutta anche la situazione apparentemente più insignificante per accrescere la propria individualità.
Educare significa non solo plasmare le proprie capacità mentali, ma anche quelle comunicative, di relazione con il prossimo, quelle che riguardano il nostro corpo, che possiamo chiamare pratiche o manuali… in poche parole: tutto ciò che siamo.
Si arriva facilmente a capire che l’educazione, così intesa, nella sua pienezza abbraccia ogni ambito e settore della vita: famiglia, scuola, sport, lavoro, amicizia, salute…
Ecco alcune caratteristiche di chi ha capito tutto questo in profondità.
Chi possiede davvero questo valore:
- Non si sente mai superiore agli altri, perché saprà che da ogni incontro, da ogni situazione, potrà trarre qualcosa di importante e riuscirà a cogliere anche dalla persona più meschina e banale un’occasione di crescita.
- Non si stanca facilmente, perché sa riposare. Ha capito che una pausa, un “momento di non attività” come definirebbe qualcuno, non è perdere tempo, ma uno dei modi per educarsi, perché come diceva Maurice Zundel “L'educazione passa da anima ad anima con l'aiuto del silenzio”.
- È un attento osservatore: degli altri, di ciò che lo circonda e di se stesso. Quest’ultima è la prima osservazione che dobbiamo imparare (l’auto-osservazione), solo così possiamo meravigliarci anche delle piccole cose e, perché no, di noi stessi, che è qualcosa di unico, perché fa anche scaturire una sana soddisfazione ;-)
Non trovi che siano delle qualità da invidiare?
Ti ritrovi in queste caratteristiche o devi ancora fare qualche passo per conquistare questo valore?
Educarci per educare il mondo intero, diventa una delle frasi per ricordarci sempre che tutta la nostra vita nasconde un’infinità di possibilità per crescere…
sabato 14 maggio 2011
IL VALORE DELL'ABITUDINE

Ieri entrando in una stanza che conosco bene, è successo qualcosa che ha fatto nascere l’idea di questo post. Probabilmente sarà capitata anche a te una situazione simile.
Semplicemente ho aperto la porta, sono andato sicuro con la mano verso destra… ma l’interruttore non c’era. Così mi sono ricordato che avevano appena fatto dei lavori e avevano spostato l’interruttore della luce fuori dalla stanza e non dentro, dove era prima. Sapevo che era stato spostato fuori, eppure sono andato direttamente dove era precedentemente.
Subito mi sono corretto e ho acceso la luce, premendo l’interruttore esterno.
Quante volte, secondo te, dovrò ripetere questo “errore” prima di andare automaticamente sull’interruttore esistente? Insomma quante volte bisogna ripetere una condizione, affinché diventi automatica, naturale e precisa?
Le neuroscienze stanno facendo passi da giganti nella spiegazione di questi e altri fenomeni e alcuni affermano che servono in media 21-28 giorni per creare una vera e propria abitudine. In realtà uno studio pubblicato nell’ottobre 2010 sull’European Journal of Social Psychology afferma che il tempo per far propria un’abitudine va dai 18 ai 245 giorni (in media 66 giorni quindi) e varia in base all’attività e alle condizioni del soggetto (per esempio, per abituarsi a fare gli addominali tutte le mattine, ci vuole un po’ più tempo…).
Un’abitudine può essere qualcosa di cui non ci accorgiamo, può nascere silenziosamente in noi senza che noi riusciamo a stabilire un momento in cui questa determinata abitudine è cominciata. Questa possiamo chiamarla un’abitudine involontaria, meccanica o inferiore (anche se quest’ultimo termine non mi piace, perché sembra sempre che sia qualcosa di brutto, invece è qualcosa di importante).
Stesso tipo di abitudine è quella che facciamo per un mero piacere, che ci porta a ripetere e ripetere qualcosa, finché non diventa una vera e propria passione.
C’è un tipo di abitudine che non è solo una ripetizione meccanica di atti, ma è un valore che si fonda sulla natura razionale e volontaria dell’uomo. Possiamo chiamarla superiore o volontaria ed è una peculiarità di ognuno di noi. Inizia con un atto della nostra volontà (scegliamo di voler acquisire o di voler eliminare un’abitudine). Ovviamente non può rimanere solo un atto della volontà, ma si manifesterà anche in un atto del nostro corpo, un “nostro atto”… poi quando gli atti successivi diventano “involontari”, significa che l’atto ha preso l’aspetto di quello che chiamiamo abitudine.
Il solo meccanismo ripetitivo, quindi, non spiega la conquista selettiva di abitudini e nemmeno il fatto che fatichiamo tanto per conquistare o liberarci di un’abitudine. Pensa a quante volte vuoi smettere di fare qualcosa che ormai è diventato standard nella tua vita, qualcosa che ritieni negativo e che vuoi eliminare. Non è così facile. Non basta svegliarsi alla mattina e dire da oggi non mi comporto più così.
“Essere legati alle proprie abitudini” sottolinea proprio il fatto che le abitudini fanno parte della nostra vita, sono un valore che possiamo dimenticare (troppo spesso purtroppo), ma che non potremo mai eliminare dalla nostra vita.
Forse con un semplice esempio tutto risulta più chiaro. Ti sarà capitato qualche volta di dire “lo faccio per abitudine”. Questo racchiude la prima definizione di abitudine, quella che abbiamo chiamato involontaria, infatti l’esclamazione di prima la posso tradurre in: ho fatto qualcosa senza riflettere e seguendo una consuetudine fissatasi nel tempo.
Credo che la stessa affermazione non la direbbe mai uno sportivo parlando dei suoi risultati positivi in una gara, un artista davanti agli apprezzamenti per la bellezza di una sua opera, un chirurgo di fronte ad un intervento riuscito, ognuno di noi quando si accorge di aver fatto un buon giudizio critico di una situazione. Anche in queste situazioni è in gioco la nostra abitudine, ma quella che viene chiamata (non a caso) superiore.
Allo stesso modo: se non fossimo abituati all’impegno non potremmo compiere certe attività che lo richiedono e ci stancheremmo subito. Non riusciremmo a studiare ore e ore se non avessimo intenzionalmente sviluppato questa abitudine superiore (ecco perché fai così fatica) ;-).
Il nostro comportamento è il nostro modo abituale di vivere. Se vogliamo saperci comportare bene nelle diverse situazione della nostra vita, non possiamo considerare l’abitudine solo un esercizio, passività o inerzia.
L’abitudine è un valore immenso dell’uomo, proprio perché solo l’uomo può compiere atti che superano la loro meccanicità.
L’abitudine, troppo spesso sottovalutata, è una necessità della quale non possiamo fare a meno. Per Jean-Jacques Rousseau, Immanuel Kant e Johann Gottlieb Fichte è qualcosa di negativo, che ci priva della libera iniziativa, della spontaneità… Io direi, invece, che è qualcosa che semmai perfeziona la nostra spontaneità fino a farla diventare, in taluni casi, un’opera d’arte (se consideriamo la libera iniziativa di un artista che si è abituato al gusto…).
In conclusione, vien naturale citare Plinio il Vecchio (o meglio Gaio Plinio Secondo): l'abitudine è in tutte le cose il miglior maestro.
Possiamo subirla passivamente, oppure farla diventare uno dei valori più belli e importanti della nostra vita.
Cosa ne pensi? Credi sia importante riscoprire questo valore e rendersi conto che, come diceva Jean Leclercq, “vivere è diventare automatici”?

mercoledì 11 maggio 2011
I 5 libri della tua vita

Con il tuo aiuto, Bol.it donerà 4.800 libri
alle biblioteche di 4 scuole delle città
di Milano, Napoli, Palermo e Torino
- La Bibbia (Autori Vari), semplicemente perché come diceva Fëdor Michajlovič Dostoevskij “La Bibbia appartiene a tutti, agli atei e ai credenti in uguale misura. È il libro dell'umanità.”
- La Divina Commedia (Dante Alighieri)… devo spiegare il perché?
- Il Signore degli Anelli (John Ronald Reuel Tolkien), perché più che un libro è un’opera d’arte, un meraviglioso romanzo scritto da un genio al servizio della verità, che ripropone grandi valori: eroismo, fedeltà, sacrificio, amicizia, amore…
- Il Piccolo Principe (Antoine de Saint-Exupéry), perché è il libro che probabilmente forma ed educa nel modo più bello che esista, con semplicità e fantasia. Un vero concentrato di valori!
- Uomo Vivo – Le avventure di un Uomo Vivo (Gilbert Keith Chesterton). In primo luogo perché è il mio autore preferito in assoluto, poi perché è un testo che trasmette molto ottimismo, molta speranza. È una sintesi antropologica, dove si afferma che l'uomo è più se stesso quando in lui la gioia è fondamentale. Io credo che sia così, un uomo vivo è un uomo pieno di gioia!
martedì 3 maggio 2011
I valori del beato Giovanni Paolo II
